Nelle foreste della Polonia, al confine con la Bielorussia, vive una piccola comunità di tatari, fra tende colorate, piccole moschee e profumi d’Oriente.
Hanno lineamenti rotondi, la base del naso larga, gli occhi allungati e una carnagione dalle tinte forti. Sono Tatari e provengono dalle remote regioni mongoliche a nord-est del deserto dei Gobi. Giunsero in questi territori nel XIII secolo, dopo peregrinazioni iniziate sotto il governo di Batu Khan, nipote di Gengis Khan, che aveva esteso il suo dominio fino ai territori dell’attuale Europa dell’Est. Da nomadi a sedentari, i Tatari che vivono in queste foreste della Polonia, nei paesi di Kruszyniany e Bohoniki, sono musulmani dediti all’agricoltura. In linea d’aria, la Bielorussia dista circa una decina di chilometri. Tutto intorno, distese di pinete secolari e fitti sottoboschi profumati di resina, pioggia e animali selvatici. Il numero di Tatari che attualmente abitano in Polonia sono circa 6 mila.
Per giungere fino a questi minuti paesini, bisogna armarsi di forza e coraggio, lasciare la strada principale asfaltata – quasi sempre intasata di tir in rotta verso la Bielorussia – e immergersi nel fitto della foresta, sperando di non perdersi, di non forare una gomma o che l’auto non ci abbandoni “nel mezzo del cammin”. I boschi sono così fitti e distesi da annullare ogni possibile punto di riferimento. E se a ciò si aggiungono la strada sterrata e la quasi certezza di non incrociare anima viva, quella che dovrebbe essere una normale percorrenza, si trasforma in un vero e proprio viaggio della speranza tutt’altro che breve. Fortunatamente, lo scenario che si apre una volta a destinazione ripaga di ogni patimento lungo il tragitto.
Che cosa vi attende al termine della strada?
Il fascino esotico di questi due villaggi è indiscutibile. In entrambi, le abitazioni sono fatte di legno, tinteggiate di pastello e con gli ingressi che (quasi sempre) cigolano. E in ogni giardino, c’è una piccola jurta, tenda coloratissima dentro la quale si intravedono scorci di Oriente. Ovunque si sente profumo di carne, zuppe, frittelle, frutta cotta e spezie di ogni sorta, aromi mescolati con la voce del muezzin che richiama puntualmente alla preghiera e a un tempo che pare essersi fermato. Le moschee, entrambe risalenti al XVIII secolo, sono piccoli edifici anch’essi rigorosamente di legno – di pino – con il pavimento ricoperto di tappeti e i muri ricamati di arazzi e libri secolari. Non molto distante, il vecchio cimitero musulmano, con le tombe antiche dalle iscrizioni in russo, retaggi dell’epoca zarista, e quelle nuove in stile cristiano, a testimonianza dell’assimilazione culturale avvenuta in questa regione.
Ma quello che resta più impresso è il silenzio. Intimo, profondo e così surreale da far quasi rumore. Se volete visitare entrambi i villaggi, vi consigliamo di percorrere la strada che costeggia il confine tra Polonia e Bielorussia, perché più tranquilla, frondosa e poco trafficata. Ogni tanto si aprono sentieri che si inoltrano verso la frontiera. Sceglietene uno e percorretelo tutto fino a quando una sbarra o un cartello vi segnaleranno che oltre non si può proseguire. Spegnete l’auto, scendete e fate un respiro profondo. Sarete inondati da profumi di resina, muschio e terra. E vi sembrerà di volare…