Figura affascinante e controversa, trasformò la slealtà in una vera e propria arte al servizio della politica
All’ingresso della piccola città di Tepelene (9000 abitanti nella valle del Vjosa, prefettura di Girocastra), un monumento ricorda una figura storica allo stesso tempo affascinante e controverso, che merita un approfondimento. Alì Pascià (1740-1822) è stato uno dei personaggi più singolari della storia albanese. Sebbene nato da una famiglia modesta, riuscì a diventare uno dei governatori più potenti e temuti dell’Impero Ottomano. Dominò l’Epiro e parte della Grecia settentrionale con coraggio e astuzia, ma soprattutto attraverso il ricorso sistematico al tradimento, che gli valse il soprannome di “infame”.
Fin da giovane, Alì comprese che il potere richiedeva flessibilità e spietatezza. Nel 1783, mentre cercava di consolidare la sua posizione, strinse rapporti segreti con la Repubblica di Venezia, rendendosi colpevole di tradimento verso la Sublime Porta ottomana. In cambio del sostegno diplomatico veneziano, colpì militarmente i suoi rivali locali, guadagnandosi la nomina a pascià di Giannina. Questo primo grande tradimento aprì la strada alla sua ascesa politica.
Le alleanze secondo Alì Pascià
Negli anni successivi, Alì Pascià consolidò il suo potere con brutalità: nel 1784, si rese protagonista del massacro di Hormovë. Stavolta vittima del suo tradimento fu un’intera comunità albanese. Dopo aver promesso protezione ai capi locali, li attirò in un’imboscata e li fece uccidere senza pietà, rafforzando così il suo controllo sulla regione e la nomea di infame.
Ma il tradimento più clamoroso si consumò all’inizio dell’Ottocento, quando Alì giocò contemporaneamente su più tavoli internazionali. Durante le guerre napoleoniche, prima si alleò con la Francia di Napoleone, instaurando un rapporto fraterno col console francese Pouqueville. Poi però tradì Parigi a favore dell’Inghilterra, offrendo basi navali agli inglesi e trattenendo come ostaggio lo stesso Pouqueville. Con questa manovra spregiudicata, riuscì a mantenere la propria autonomia.

Il traditore tradito
Anche durante i moti rivoluzionari greci del 1820-21, l’infame Alì Pascià non rinunciò alla sua doppiezza: promise ai sulioti, combattenti greci, il ritorno alle loro terre in cambio di supporto militare, solo per poi denunciare i loro piani al Sultano ottomano. Un tradimento che accelerò lo scoppio della guerra d’indipendenza greca, ma significò anche la sua fine. Stavolta il sultano aveva deciso di smettere di fidarsi di lui, e lo ripagò con la stessa moneta: prima finse di accettare e subito dopo lo dichiarò ribelle. Nel 1822 venne quindi catturato e giustiziato dagli ottomani.
La sua eredità rimane viva nei castelli che fece costruire (il più importante si trova a Butrint) e nella memoria storica dei Balcani. Qui in tanti lo ricordano come un despota sanguinario, ma molte fonti lo citano come “Il leone di Giannina”, un sovrano illuminato capace di modernizzare l’Epiro. Di certo, con la sua parabola politica Alì Pascià (che pensiamo sarebbe piaciuto assai a Macchiavelli) ha dimostrato che il tradimento può essere funzionale al potere, ma comporta gravi rischi nel lungo periodo. La sua abilità nel tradire alleanze lo rese celebre e temuto, ma alla fine gli costò tutto: il regno, la vita e l’onore.
