Il Monastero del Fiume Nero (Manastir Crna Reka) si nasconde tra i silenzi delle montagne, ai confini della Serbia e forse anche del mondo. Per trovarlo, bisogna lasciarsi alle spalle Novi Pazar e procedere verso sud per 30 chilometri, lungo la E761 che conduce verso l’unica sicura frontiera a nord del Kosovo. Dopo aver superato il fiume Ibar, inizia una strada stretta e malconcia, tutta polvere e sobbalzi, che piano piano si solleva, tra curve e contro curve, infilandosi di taglio in una stretta gola che si fa a mano a mano sempre più scura, ricoperta da fitti boschi a soffocare la vista. La strada termina con l’ingresso all’area del monastero. Non resta che procedere a piedi.
Dopo una arco e le due abitazioni dei religiosi che qui vivono, il percorso si incunea ulteriormente verso un muro di roccia dove, proprio a strapiombo sul nulla, appare, come per miracolo, il trecentesco Monastero del Fiume Nero. Non è un edificio ma una sorta di bassorilievo nella roccia, lievitato per mano di Dio. Scavato nella pietra, ciò che di esterno si ammira è solo il concetto, l’effige. Dentro è un labirinto di piani e falsi piani, di scalini scomposti, cunicoli a perdere, vicoli ciechi, porte che si aprono sul nulla e infinite nicchie dove ardono incensi perpetui o vengono gelosamente custoditi breviari, candele, crocifissi, icone, rosari. La temperatura interna è costantemente bassissima; il silenzio, greve come la roccia che lo ha plasmato: sordo, ovattato, denso di secoli di preghiere. L’aria è immota, la stessa dai tempi della fondazione. Qui l’anima si mette a nudo. Qui ci si spoglia anche di se stessi.
Dalla scricchiolante balconata di legno, si respira la stessa ace perpetua. Nella piccola cappella interna, invece, affrescata di icone dai mille colori, dorata, fitta di candele e di reliquie, ci si sente al riparo da ogni male, lontani anni luce dai peccati del mondo.