Per affrontare il trekking sul Kilimanjaro: rotte, preparazione e consigli pratici per un’avventura indimenticabile
Chi non ha mai sognato di “scalare il Kilimanjaro”? Un nome, un’icona nell’immaginario di tutti, simbolo di avventura, luoghi esotici e storie senza tempo. Sogno o realtà? Sono 5.895 metri di visione. È la vetta più alta di tutta l’Africa e annoverata nell’olimpo delle “Seven Summits”. A osservarlo da lontano, con i suoi tre picchi Kibo, Mawenzi e Shira, il massiccio vulcanico del Kilimanjaro emerge isolato nel bel mezzo delle pianure tanzaniane, dolcemente circondato da foreste montane e con la cima perennemente innevata. Dal 1973, la montagna è protetta dal Parco Nazionale, esteso per oltre 1.600 km² e gestito da TANAPA. Nel 1987, diventa Patrimonio Mondiale Unesco.
Scoperto dagli esploratori europei nell’Ottocento, la prima ascesa“ufficiale” sul Kilimanjaro fu quella di Hans Meyer, nel 1889. Un’antica leggenda del popolo chagga racconta che l’uomo nacque proprio da questa montagna. Forse un fondo di verità, alla fine, esiste: il celebre monte, infatti, è sorto dalle medesime forze geologiche che diedero vita alla Rift Valley, in cui sono state trovate le prime tracce del percorso evolutivo dell’essere umano. Per i popoli che vi abitano, il Kilimanjaro è un luogo intriso di spiritualità e significato culturale. Per i chagga, rappresenta un simbolo di identità e prosperità; per i masai, invece, una “semplice” manifestazione della potenza divina. E fondamentali, ancora oggi, sono le diverse cerimonie rituali e i sacrifici che vi si svolgono, e i tanti miti tramandati di generazione in generazione.
Aspetti culturali e ambientali
Ma cosa significa davvero salire il Kilimanjaro? Significa attraversare, come in una fiaba, aree tra loro radicalmente diverse. Il versante tropicale del Kilimanjaro ospita foreste pluviali e specie uniche. Ma è salendo, che i paesaggi mutano rapidamente. Si passa dalle foreste di montagna, ricche di bosso e eucalyptus – e abitate da bufali, elefanti e leopardi – alle fitte brughiere di eriche e protee, fino ad arrivare a un ambiente prettamente alpino, con enormi lobelie e groundsel giganti. Le cime superiori, invece, il cosiddetto bianco “polo nord equatoriale”, ospitano licheni e qualche raro fiore in grado di sopravvivere a condizioni estreme. Un’esperienza, insomma, di quattro stagioni diverse. E latitudini diverse. Si percorrere letteralmente “dall’equatore al Polo Nord” in pochi giorni.
Ma di cosa si vive “alle falde del Kilimanjaro”? Di caffè, banane, mais. E di cultura. Camminare in questo luogo, infatti, vuol dire immergersi nei suoni, odori e sapori che dai villaggi tradizionali esalano come d’incanto, ascoltando storie e osservando la vita locale, vera fonte di ricchezza di qualsiasi luogo. Bastano un po’ di educazione e discrezione, per ricevere in cambio condivisione ed ospitalità. Ma soprattutto comprensione di un ambiente in cui permangono gli aspetti più atavici e sinceri della popolazione che lo abita.
L’ascesa
Le vie di salita al Kilimanjaro sono 7. Ognuno di questi 7 itinerari ufficiali si differenzia per: percorso, durata, acclimatamento e affollamento. Tutti terminano sul versante sud-est.
Via Lemosho (7–8 giorni)
Partendo dal lato ovest, si attraversa la foresta fino alle brughiere dell’altopiano di Shira. Molto panoramica e versatile – anche poco battuta – consente una migliore acclimatazione ed è considerata tra le più spettacolari, regalando inoltre buone probabilità di successo.
Via Machame (6–7 giorni)
Si procede dal versante sud, attraversando la foresta pluviale e le brughiere fino al campo Barafu. Viene chiamata “Whiskey Route”, per la sua maggiore difficoltà. Ma offre panorami indimenticabili e un itinerario molto variegato.
Via Marangu (5–6 giorni)
È l’unica via con rifugi fissi e nessun campo tendato. Si sale dal versante est e lungo un percorso relativamente breve ma – ahinoi – piuttosto affollato. La chiamano “Coca-Cola Route” ed è il sentiero più accessibile e preferito da chi non vuole rinunciare al comfort.
Via Rongai (6–7 giorni)
L’accesso, in questo caso, è dal lato nord, in prossimità del confine con il Kenya. Si sviluppa attraverso panorami aridi, ma soprattutto tranquilli e graduali, ideale per chi cerca un’esperienza in solitaria.
Via Shira (7–8 giorni)
Si inizia da ovest, vicino alla Lemosho, ma più in alto, il che richiede un acclimatamento più rapido. Offre una traversata dell’altopiano di Shira, ma è meno praticata da sola.
Northern Circuit (9–11 giorni)
Si tratta di un itinerario più lungo e recente, che circumnaviga la montagna da nord a sud, con vedute a 360° e massima acclimatazione. Per la sua durata, consente di raggiungere la cima con ottime probabilità.
Via Umbwe (5–6 giorni)
Decisamente più breve e impegnativo, ripido e con scarso tempo di acclimatazione. Lo si consiglia principalmente ad escursionisti esperti e a coloro che sono alla ricerca di una sfida fisica, in quanto faticoso e con un elevato rischio di mal di montagna.
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Quale preparazione?
Coloro che vogliono cimentarsi in un trekking sul Kilimanjaro devono innanzitutto possedere una buona resistenza aerobica e una decisa forza muscolare. Ma la buona notizia è che non sono necessarie tecniche alpinistiche. Bisogna comunque allenarsi regolarmente, meglio più volte alla settimana, praticando attività cardio quali corsa, cyclette e nuoto, nonché esercizi di potenziamento delle gambe e della schiena. Fondamentale, inoltre, è abituarsi a camminare – possibilmente per lunghi periodi – con uno zaino carico, circostanza tutt’altro che scontata. Si può optare per escursioni in collina o in montagna, ideali per migliorare la resistenza e la gestione dello sforzo.
Occhio allo stretching dopo gli allenamenti! Imprescindibile, in quanto aiuta a prevenire infortuni e dolori muscolari. Ma se proprio si desidera essere sicuri di arrivare preparati al cospetto del famigerato Kilimanjaro, si può tentare di effettuare questi preamboli anche in quota sopra i 3.000 metri, per simulare condizioni simili a quelle che si incontrerebbero laggiù. Basta procedere con gradualità e prefissarsi di non salire più di 500 metri di dislivello al giorno, alternando camminate a una o più giornate di riposo.
Nota a margine. L’utilizzo dei bastoncini da trekking riduce di oltre il 20% il carico sulle ginocchia in discesa. Bere molto, infine, fa il resto – e non è poco. Da evitare categoricamente l’alcool e i sonniferi, ma può essere un’idea portare acetazolamide (Diamox) come profilassi preventiva, in quanto stimola la respirazione notturna e accelera l’acclimatazione riducendo i sintomi del mal di montagna.
Quando andare?
Vista la latitudine a cui si trova il Kilimanjaro, è ovvio che il suo clima risulta chiaramente influenzato dalle stagioni delle piogge. I periodi migliori per andarci, quindi, sono i due periodi di secca, ovvero quello che va da fine giugno a ottobre e l’altro che inizia a fine dicembre e dura sino ai primi di marzo. In questi mesi, il cielo è sereno e i sentieri sono asciutti, due condizioni ideali per un’escursione in sicurezza, scongiurando fango e bufere. La temperatura? Alle quote inferiori, resta stabilmente mite per tutto l’anno, quindi da 21 ai 27 °C. Ma è sulla cima che, nelle notti particolarmente limpide, può scendere fino a -20° C. Anche nella stagione secca. Copritevi!


