È una vecchia piantagione di Guadalupa, dove gli schiavi lavorarono, vissero e morirono, e che ora giace abbandonata al vento degli uragani.
Un declino, quello della Habitacion Néron, nell’isola di Guadalupa, che l’uragano Maria del 2017 ha inesorabilmente accelerato, trasformando questo luogo intriso di storia in un relitto lasciato a se stesso. Gli edifici dove gli schiavi laboravano e vivevano sono riconoscibili ma inaccessibili, alcuni divorati dalle piante che tutto avvolgono. La vegetazione rigogliosa, da queste parti, inghiotte indistintamente tutto ciò che incontra sul proprio cammino.
L’abitazione si trova poco lontano dalla città di Moule, un tempo orgogliosa roccaforte dell’aristocrazia coloniale. Fu Pierre Néron Beauclair a fondarvi uno zuccherificio, nel 1740. Tre decenni dopo, la casa si era convertita in una ricca proprietà, estesa su un’area di ben 160 ettari, dove vi lavoravano circa un centinaio di schiavi, tutti alloggiati in misere baracche. Dopo essere stata requisita durante il periodo rivoluzionario, subì ingenti danni a causa del terremotodel 1843, riprendendosi nel giro di un decennio. Nel 1852, infatti, contava già 81 lavoratori. Lavoratori, sì. Perché la schiavitù era stata finalmente abolita. E da zuccherificio, sessant’anni più tardi, divenne distilleria, producendo il pregiato Rum Néron. Il suo mulino a pietra funzionò fino al 1965.
Ciò che (non) resta…
Le porzioni degli edifici attualmente visibili restituiscono l’idea di ciò che, a quei tempi, doveva essere l’intera proprietà. La torre del mulino a vento è l’unica vestigia del periodo che precede l’abolizione della schiavitù, ma un cancello e una rete ne proibiscono l’ingresso. Nella parte a ovest, inoltre, esiste ancora una rete di stagni collegati tra loro da alcuni canali, installazioni idrauliche che erano state scavate per garantire l’approvvigionamento di acqua. Il sito è oggi di proprietà del County Council.
All’interno della struttura, proprio nel cuore della ex distilleria, si trovano alcuni dei macchinari utilizzati quando l’Habitacion Néron era ancora in funzione. Peccato che siano inavvicinabili, trincerati dietro cumuli di piante, erbacce e rimasugli di ogni genere che si ergono a barricate. I cartelli “vietato l’accesso“, in aggiunta, ribadiscono ciò che è già più che deducibile soltanto a un primo sguardo. Ma gli oggetti che maggiormente impressionano e che parlano nel silenzio, soprattutto nel silenzio, sono quelli strettamente legati alla vita degli schiavi all’interno della piantagione: catene di ferro, sbarre di ferro e grossi cerchi di ferro ai quali questi erano indissolubilmente legati. Tutti strumenti ormai arrugginiti ma nei quali è facile imbattersi, senza preavviso alcuno. Muti ma urlanti. Freddi ma ancora vivi delle sofferenze che hanno, loro malgrado, raccolto.
Aggirarsi per la Habitacion Néron, situata proprio lungo la strada, è molto semplice, se non fosse per i cani randagi che l’hanno ormai eletta a loro stabile dimora. Perciò, cautela. Sempre. Per il resto, il suo essere immersa nella più totale assenza di suoni la rende un angolo ideale per immaginarsi più di quanto la storia abbia finora narrato. Basta sedersi all’ombra di una pianta contemplando le sue rovine, per riuscire a leggere tra le righe del tempo.