Damasco: il silenzio e la sacralità della Moschea degli Omayyadi

Luogo di culto sin dalla prima antichità, crocevia di popoli e spiritualità, aiuta a comprendere il valore del rispetto fra le diverse religioni

La prima immagine che mi torna alla mente, pensando alla Moschea degli Omayyadi di Damasco, è il suo straordinario fulgore. Marmi scintillanti, lucidati a specchio, pulitissimi. E poi il silenzio, irreale eppure palpabile, che accompagna la sensazione di sacralità che si prova nel suo cortile: un silenzio nel quale si ha la sensazione di poter ascoltare la voce della nostra anima. E forse è proprio così.

Una lunga storia di devozioni

D’altra parte, pochi luoghi al mondo possono dirsi più sacri della Moschea degli Omayyadi, un edificio che contiene una storia lunga e cesellata di tante devozioni che affondano le loro origini nella notte dei tempi.

Già i più antichi abitanti di Damasco, gli Amarei, avevano infatti costruito su quell’area un tempio dedicato ad Hadad, dio del fulmine, poi diventato tempio di Zeus e quindi ripreso dai romani e dedicato a Giove Damasceno.

Dai romani agli arabi

Nel 379 d.C., quindi, l’imperatore Teodosio trasformò l’edificio in una basilica. Ma ecco che, per l’appunto, entrano in scena gli arabi, anzi gli Omayyadi, una dinastia di mercanti della stessa tribù di Maometto, quella dei Quraish, divenuti poi “signori della guerra”, che strapparono la città ai bizantini nel 635 e la resero capitale del califfato.

Già nel 636 i musulmani trasformarono la parte orientale della basilica in una moschea, consentendo però ai cristiani di praticare il loro culto nella parte occidentale dell’edificio. La convivenza delle due religioni durò ben 70 anni. Poi il califfo Khalid ibn Al-Walid I, fra il 705 e il 705, fece costruire sull’area della basilica: la nuova Grande Moschea degli Omayyadi.

Un modello per il mondo arabo

La Moschea degli Omayyadi tradusse in realtà un grandioso progetto e divenne il modello di tutto il mondo arabo. L’edificio sarà identificato come “moschea a pianta araba”. Le principali caratteristiche sono la corte centrale, circondata su tre lati da un porticato, uno o più minareti.

A sud, si ha il corpo principale: la liwan o sala della preghiera, con un transetto centrale e tre navate rispettive nelle parti laterali. L’edificio fu completamente rivestito di marmi e mosaici in pasta vitrea, con conchiglie e madreperle inserite sul fondo oro da maestranze bizantine e che richiamano quelli che ornano le pareti della Cupola della Roccia a Gerusalemme.

Il racconto di Ibn Battuta

Della Moschea degli Omayyadi racconta anche un grande viaggiatore dell’antichità: Ibn Battuta che, nel XIV secolo, scrisse: “(Damasco) è il paradiso d’Oriente (…). Agghindata di fiori e di piante odorose (…) e avvolta in drappi di broccato (…). I giardini la circondano come l’alone che cinge la luna (…). E la moschea è la più graziosa al mondo, la più magnifica per architettura, la più squisita per grazia“.

Un ponte fra le religioni

Oggi, risparmiata fortunatamente dagli sfregi della guerra religiosa che ha spaccato la Siria, la Moschea degli Omayyadi è per importanza il quarto luogo sacro dei musulmani. Ma è importante anche per i cristiani: all’interno della Moschea, infatti, è conservata una reliquia particolare che riassume in sè il sincretismo religioso del luogo: la testa di Giovanni Battista. Decapitato per ordine di Erode, Giovanni Battista è personaggio di culto nella tradizione cristiana come in quella islamica. E la sua tomba, illuminata di verde (il colore più sacro all’Islam) è da sola un invito alla concordia e al rispetto fra culti diversi, nel nome di una spiritualità comune nella quale riunirsi in preghiera. Avvolti dal mistico silenzio della Moschea degli Omayyadi.

Geolocalizzazione della Moschea degli Omayyadi

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