Il museo dimenticato di Andy Warhol, disperso tra le montagne slovacche

Anni ’60. New York. Manhattan. 47^ strada. The Factory: un incubatore schizofrenico di arte, feste, anfetamine. Riuscite a immaginarlo? Qui prendevano forma le nuove avanguardie americane. Qui si distruggevano i vecchi retaggi conformisti e si gridava all’emancipazione sociale. E in cima a questa Torre di Babele, colui che si tingeva i capelli di grigio per non essere più costretto ad invecchiare e che sosteneva che “la cosa più bella di Firenze è il McDonald’s”. Andy Warhol nasce a Pittsburgh, nel 1928, e muore a New York, nel 1987, in seguito a complicazioni sorte durante un’operazione chirurgica alla cistifellea. I suoi genitori erano immigrati provenienti da un piccolo e sconosciuto paesino della Slovacchia nord-orientale rinchiuso tra Polonia e l’Ucraina: Medzilaborce. Oggi è un luogo luogo dimenticato, sonnacchioso, muto e lento, avvolto da boschi, foreste e da quell’atmosfera post-sovietica che resiste nelle tante scritte in cirillico che ovunque si incontrano. Essendo un villaggio posto al di fuori dalle principali rotte di passaggio, per raggiungerlo bisogna volerlo. E l’unica ragione che può condurre un visitatore fin qui è il Museo di Andy Warhol, un cubo psichedelico che aggredisce la vista dopo chilometri di sfacciato realismo. L’illuminazione fioca dell’entrata ricorda l’accoglienza di una scuola di regime. La cancellata in ferro che conduce all’interno del Museo, quella di un carcere minorile. Fortuna che i soffitti sono tappezzati di accecanti cromatismi e gli scalini sono fiorati. Il contenuto delle sale fa invidia ai grandi colossi museali del mondo. La quantità di capolavori appesi ai muri è incalcolabile. E raramente la si vede esposta altrove. Ma se l’ampiezza delle sale abbonda, i visitatori (peccato per loro) scarseggiano. Bob Kennedy, Ingrid Bergman, Sigmund Freud, Franz Kafka, Albert Einstein, la Regina Elisabetta. E poi lui. Poteva forse mancare, visto il contesto? Solitario, severo e illuminato debolmente: Lenin. Il profilo abbozzato, una mano al libretto e lo sguardo fiero. Come mi disse il custode: “Lo vedi? Il tempo scorre, la storia insegna e le persone cambiano. Ma le idee non muoiono mai”.

Geolocalizzazione del Museo di Andy Warhol

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