Sui binari dell’Orient Express

Il fascino dell’Orient Express, tra storia e leggenda, lungo un itinerario che riserva sorprese, soprattutto tra i centri minori

Nonostante occasionali riedizioni per una ricca clientela internazionale, l’Orient Express ha da tempo interrotto la sua corsa, incominciata nel lontano 1883. Sino ad allora, i treni erano stati solo ferro, carbone e vapore, semplici mezzi di locomozione per trasportare merci e passeggeri al minor costo e nel minor tempo possibile. Poi l’imprenditore belga Georges Nagelmackers, titolare della Compagnia internazionale dei vagoni letto, ebbe un’idea rivoluzionaria: intarsi in legno pregiato, pannelli di vetro, tessuti damascati, dettagli in pelle e una haute cuisine di livello per palati raffinati e clienti modaioli. In due parole: comodità e lusso. Fu nel periodo tra le due guerre, che l’Orient Express visse la sua “età dell’oro” annoverando, tra i suoi viaggiatori, sovrani, illustri politici, scrittori, artisti e famigerate spie. Poi nel 1977, in un mondo ormai irrimediabilmente cambiato, fece la sua ultima corsa. Ma nulla impedisce oggi al viaggiatore curioso di seguirne ancora il suo percorso attraverso i Balcani, tra stazioni abbandonate, vagoni dismessi e binari morti.

Il leggendario treno faceva sosta in alcune delle più raffinate capitali dell’Europa orientale: Lubiana, Zagabria, Belgrado, Sofia, sino a Istanbul. Strada facendo, però, toccava anche numerose città minori, oggi spesso dimenticate. Vinkovci (Google Maps) per esempio, piccolo centro nel cuore della Slavonia croata, sfavillante di fontane e colorati edifici ottocenteschi, citato nel famoso racconto di Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express, come il luogo dove il convoglio rimane bloccato a causa di una violenta tempesta di neve e dove il detective Poirot si vede coinvolto in uno degli omicidi più misteriosi di tutta la sua carriera.

E poi? Quali altre stazioni sono passate sotto gli occhi dell’inestimabile investigatore prima che questi si ritrovasse intrappolato nell’allora oscuro territorio jugoslavo? Per esempio Jagodina (Google Maps), in piena Serbia, sulle rive del fiume Belica. Non devono ingannare la sua grigia periferia industriale, ingombrante eredità della pianificazione comunista, e nemmeno il più che turistico Aqua Park o lo zoo, inflazionato dalle famiglie nei weekend. Il vero spirito di questa città lo si coglie visitando il coloratissimo Museo dell’Arte naïf e dell’arte marginale; ammirando la scenografica cascata artificiale, un salto di 7 metri d’acqua che di sera si tinge di oro; o girovagando nelle terre sale del Museo delle Cere, nato nel 2008, unico in tutta la ex Jugoslavia e contenente i più importanti personaggi che hanno reso grande la Serbia – così si legge all’ingresso. Dal presidente Tito all’inventore Tesla, dal tennista Đoković allo scrittore Ivo Andrić. E poi attori, filosofi, condottieri, patriarchi, persino Milošević e infine – ultimo arrivato nel 2016 – Putin, che di serbo non ha nulla, ma grazie al quale le visite al museo sono aumentate di oltre il 50%.

Di tutt’altro umore, invece, la visita a Niš (Google Maps), nel sud della Serbia, con la sua sinistra Torre dei teschi. Qui, nei primi anni dell’Ottocento, i serbi combatterono una sanguinosa battaglia per liberarsi dal dominio ottomano. L’irritato comandante turco si vendicò tagliando la testa dei ribelli morti e inviando i loro scalpi alla corte imperiale di Istanbul come prova della vittoria. E con i teschi rimasti – 952, per la precisione – fece erigere una torre sulla principale via d’accesso alla città, come macabro avvertimento. Di quei crani, oggi ne rimangono una cinquantina. Gli altri? Reclamati dai discendenti o prelevati come lugubre souvenir.

Al suo approdo in Bulgaria, l’Orient Express entrava poi nel cuore dei Rodopi, penetrando questa aspra catena carsica che la mitologia classica, secondo quanto raccontato da Ovidio nelle sue Metamorfosi, identifica come luogo di nascita di Orfeo, marito di Euridice. La stazione ferroviaria del paesino di Septemviri (Google Maps), però, oggi deve accontentarsi di una piccola locomotiva diesel degli anni Sessanta che s’inerpica coraggiosamente tra tunnel, ponti, profonde gole, lontani profili di moschee e villaggi abbandonati, lungo un itinerario contemplativo all’insegna della lentezza e del silenzio.

Ma la vera perla del territorio bulgaro, dove l’Orient Express fischiava glorioso col vento in poppa, era Plovdiv (Google Maps), nota anche come Filippopoli, storica capitale della Tracia. Patrimonio Unesco e Capitale della cultura 2019, è un vanto di vestigia romane e scenografici edifici in stile rinascimentale, questi ultimi concentrati nella parte alta della città. Come la casa del ricco mercante di tessuti Nikola Nedkovich, costruita nel 1860, che ha conservato tutti i suoi arredi originali e buona parte degli oggetti apparteniti ai suoi proprietari, insieme al rimpianto dei bei tempi passati. Una nostalgia che si respira tra i minuziosi soffitti scolpiti e i murales ancora intatti, fra i tappeti appartenenti alla più autentica scuola di tessitura bulgara – uno dei quali lungo ben 10 metri – e il piccolo klyukarnik, la veranda dedicata alle chiacchiere per signore.

Circa 350 chilometri prima di Istanbul, l’Orient Express sostava infine a Edirne (Google Maps), capitale dell’impero ottomano prima della tanto sospirata conquista di Costantinopoli del 1453. Nella città turca dalle “mille e una moschee”, con le sue atmosfere raffinate, pittoresche e rumorose, si può ingannare il tempo negli antichi hammam o perdersi in chiacchiere bevendo tè e fumando interminabili narghilè. Inutile cercare di resistere alle tentazioni dei rinomati mastri pasticceri, con le loro torri di baklava e piramidi di lokum.

Un tempo, in realtà, il treno si fermava a Karaağaç (Google Maps), alle porte della città. La piccola e storica stazione ferroviaria è rimasta praticamente intatta, a dispetto delle numerose vicissitudini che hanno attraversato questo angolo di Tracia. Attualmente è sede universitaria, ma l’ampio ingresso a vetri, i suoi immacolati saloni interni e soprattutto il grande cartello “Edirne” che campeggia sul lato dell’edificio rivolto ai binari – ora morti – restituiscono qualcosa dello spirito di un tempo. E poco importa se oggi quasi nessun turista o visitatore passa più di qua. Si è comunque in buona compagnia: con le glorie della storia, i fantasmi della letteratura e i silenzi del mito che non muore mai.

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