Asir e il profumo degli “uomini dei fiori”

Un viaggio tra le montagne dell’Asir, provincia dell’Arabia Saudita dove predomina lo stile yemenita e vivono i cosiddetti “uomini dei fiori”

A Jeddah, in uno dei caffè storici dell’antico quartiere di Al-Balad, una bambina di circa 7 anni, la carnagione color noce, gli occhi allungati e neri capelli ricci, mi si avvicina con educata discrezione e mi prende in silenzio la mano, baciandone delicatamente il dorso, per poi portaroselo alla fronte prima di congedarsi con un profondo inchino. Un rituale dal fascino sconosciuto che nessuno, in città, è riuscito a spiegarmi. Per comprenderne il significato, ho dovuto percorrere 800 chilometri di strada attraverso le selvagge e verticali montagne dell’Asir, remota regione nel sud dell’Arabia Saudita che nel 1916 gli intrighi di Lawrence d’Arabia strapparono alle grinfie dell’Impero ottomano, e incontrare i suoi abitanti più singolari, i cosiddetti “uomini dei fiori”, discendenti della millenaria tribù yemenita di Tihama.

Li ho visti salutarsi con il medesimo cerimoniale: per la via, sulla soglia di casa, prima di entrare in moschea o nei chiassosi mercati di bestiame che animano i cortili o le piazze dei villaggi, dove all’odore di sterco di pecora e vello di montone si alterna il profumo che questa gente diffonde cingendosi il capo con ghirlande di rametti verdi, erbe medicinali e piccoli fiori colorati la cui fragranza – mi hanno detto – favorisce il benessere spirituale e migliora i rapporti sociali.

Possiedono tratti somatici che poco hanno in comune con i sauditi. E usanze piuttosto originali. Come tingersi barba e capelli con l’henna coltivata nell’area di Jizan, a ridosso dello Yemen, o vestire lunghe gonne variopinte dette futachiuse a portafoglio e strette in vita da una cintura sulla quale brilla la jambiya, tradizionale pugnale ricurvo e riccamente decorato che dona prestigio a chi lo porta, ma che è anche virilmente esibito durante la scenografica danza dei coltelli, spesso sfoderato per suggellare giuramenti, talvolta persino chiamato a scacciare gli spiriti maligni.

Yemen, lontano eppur vicino

Lo Yemen, da sempre terra di viaggiatori, è da molti anni dilaniato dalla guerra civile, perciò inaccessibile a chi desideri visitarlo. L’unico modo per avvicinarsi alla sua cultura è recarsi, per l’appunto, nell’Asir, dove lo stile yemenita predomina su quello saudita. Nell’architettura delle case, ad esempio: bianche, con i tetti piatti e le mille finestre spalancate sulle valli. O negli antichi villaggi sparsi in ogni rocca della provincia di Al-Baha, un tempo conosciuta come territorio “dalle mille e uno torri”.

Dhee Ayn

Il cinquecentesco Dhee Ayn è uno di questi villaggi. Abitato fino a 40 anni fa, emerge dalla roccia con il suo fitto agglomerato di abitazioni in pietra in cui spiccano i dettagli delle porte intarsiate e i motivi geometrici finemente incisi sui pilastri di legno. Le vie che lo attraversano sono poche. Gli scalini, invece, sembrano non finire mai. A volte, alcuni ingressi semichiusi invitano a spiare nel chiaroscuro degli interni, dove svariati oggetti di uso quotidiano giacciono sepolti sotto coltri di polvere secolare. Nelle tante sale spoglie del castello e tra i suoi piani sfalsati, invece, si rischia di perdersi. Per uscirne, basta seguire la pungente fragranza di basilico e fiori di kadi largamente coltivati nell’oasi attorno al borgo, alle cui falde della sorgente tutto ebbe inizio.

Rijal Alma’a

Il villaggio di Rijal Almaʽa, al contrario, se ne sta rannicchiato in una sperduta conca tra i monti, ben distante dalle principali vie di comunicazione, sebbene un tempo il villaggio fosse un importante punto di sosta lungo la via del pellegrinaggio verso La Mecca. Le sue case, anch’esse in pietra, sono disposte a semicerchio ai piedi di un grande anfiteatro e svettano, una sopra l’altra, con le loro caratteristiche merlature bianche. Ma sono i colori degli scuri alle finestre che catturano immediatamente l’attenzione: verdi, blu, gialli, rossi. Le stesse tinte pastello utilizzate per dipingere gli arabeschi sulle pareti bianche delle stanze, attorno a porte, vetri, mobili, scale. È la pittura nagash (in lingua locale Al-Qatt) un’arte tutta al femminile, da secoli tramandata di madre in figlia e, nel 2017, iscritta a Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco.

Al-Habala

Pericolosamente a strapiombo su uno sperone roccioso, invece, è il muto e solitario villaggio di Al-Habala, oggi disabitato e raggiungibile in funivia ma, in passato, separato dal resto del mondo da lunghe scale di corda sospese nel vuoto. Questo pugno di case smarrite era stato costruito dagli “uomini dei fiori” al tempo degli Ottomani per sfuggire alle loro persecuzioni. Della gente che fino a un secolo fa lo abitava, non ne resta che l’eco. Si ripopola solo d’estate, per un festival itinerante di musiche e danze tradizionali.

Asir: impervio, remoto, eroico, misterioso

Ci vuole pazienza, ad attraversare la regione dell’Asir. Si naviga quasi sempre tra i 2000 e i 3000 metri di altitudine, in un continuo ondeggiare di curve, saliscendi ed epiche strade al limite della percorribilità. Come la Nosab Road, che passa dai 2200 metri agli 800 in 12 km, 63 tornanti e una pendenza dell’11%. Senza contare le nebbie che calano all’improvviso, le feroci raffiche di vento e le schiere di babbuini pronti a invadere la carreggiata o a saltare sul cofano delle auto in sosta, fuggendo allarmati se si tenta di fotografarli.

Ovunque, fin che occhio riesce a scorgere, montagne grezze dal dorso tagliente e i pendii inospitali che soltanto i suoi abitanti sono riusciti eroicamente a domare. Pietra su pietra, con coraggio e passione, hanno terrazzato ogni crinale e trasformato la nuda roccia in piantagioni di zenzero, indaco, caffè, palme e cotone. Anche di grano, seppur in poca quantità, con il quale si prepara il mifa, lo street food dell’alta quota, tipico pane cotto dalle donne (le uniche che ho visto in circolazione) sulle pareti circolari del forno, poi cosparso di sesamo e riempito con crema di formaggio e miele locali. E poi c’è il khat. Un mistero. È una pianta stupefacente (perciò proibita per legge) dagli effetti controversi che cresce spontanea solo nella regione dell’Asir. Pochi sanno riconoscerla. Molti la utilizzano. Alcuni la coltivano. Ma in segreto, e confondendola così abilmente tra le altre da farla passare (forse) inosservata anche agli stessi occhi del governo.

Geolocalizzazione della provincia dell’Asir

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