Il sapore del tè persiano nelle tende dei nomadi bakhtiari

È un profumo di tè che irretisce i sensi, che strega più di una malia. Nero, fumante e dagli eterei riflessi, ricorda le notti stellate della bella Sherazade o gli antichi canti del deserto, con le loro storie millenarie e i silenzi siderali che tutto ammantano. A servire questo corroborante nettare di vita sono le tribù dei bakhtiari, popoli nomadi che vivono tra le solitarie montagne del sud ovest della Persia, lungo il confine con l’Iraq. Le loro tende puntellano la terra solitaria come perle sfuggite di mano, sparse e disperse qua e là senza un ordine apparente, raminghe e discrete. E mentre gli uomini sono altrove, dietro ai greggi di pecore a guadagnarsi la giornata pascolandole senza riposo, le donne si tengono occupate con ciò che pare essere la loro vocazione fin dai tempi di Mosè: tessono. Tessono con le loro mani dalle dita ritorte più della lana che cardano e tatuate con simboli più oscuri di una lingua perduta. Tessono fino a che il fiato regge e gli occhi ancora distinguono. Tessono chilometri e chilometri di tappeti destinati ai mercati di Shiraz o Esfahan. Ma tessono anche per ricoprire il suolo delle loro tende dentro le quali, quando cala la sera e il buio chiama a raccolta, le famiglie si ritirano in fuga dai gin, spiriti maligni che mai nessuno osa nominare. Ed è proprio in queste tende, che i bakhtiari accolgono i viandanti di passaggio. I figlioletti, imbacuccati nei loro abitìni colorati, disegnano scene gioiose e giocose correndo incontro a chi fa loro visita, curiosi davanti ai volti nuovi di chi non è di quelle parti e nulla chiede, se non una parola di conforto o qualche istante di passeggera convivialità. Si percorre tutti insieme il tragitto che mena all’accampamento e si aprono i tendaggi, entrando in un ambiente degno della corte di un re: distese di tappeti finemente orditi, tazzine di porcellana dipinte come un quadro di Renoir e cucchiaini arabescati di cui quasi dispiace servirsi. Impossibile comunicare in una lingua condivisa. Si parla con il sentimento. Sentimento di fratellanza, affetto, carità. Ci si comprende più che coniugando verbi o elargendo aggettivi. Basta guardarsi negli occhi, seminare sorrisi, appoggiare una mano sulla spalla dell’altro, annuire. Nulla più.

Geolocalizzazione dell’area dei bakhtiari

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